SUI NEURONI SPECCHIO E SUL “SOLILOQUIO MEDIATO” DI REUVEN FEUERSTEIN, Cecilia De Conti
Dopo alcuni slanci eleganti, sono saltate. Per i primi microsecondi è stato perfetto. Dentro di me ho provato la stessa perfezione, pare che sia una storia di “neuroni specchio”.
Muriel Barbery, L’eleganza del riccio
La citazione del titolo è dello scrittore e regista di fantascienza Robert Heinlein ed esprime efficacemente la consapevolezza che l’uomo possa più che altro limitarsi a gestire con la razionalità ciò che in lui razionale non è. Tuttavia questa considerazione non ha nulla di malinconico, ma è anzi la dimostrazione che l’uomo sta accettando – grazie anche alla scienza – che egli è tanto istinto quanto ragione. Le nuove scoperte infatti mostrano sempre più chiaramente che, contrariamente a quanto si è creduto per secoli, la razionalità da sola è insufficiente per farci operare scelte appropriate nel mondo di relazioni. Basti pensare all’ormai innumerevole bagaglio di casi in cui il deficit sociale di un individuo è stato direttamente collegato ad una lesione nelle zone cerebrali che, come si vedrà in seguito, sono sempre più chiaramente associate alla vita emotiva; un esempio tra tutti: Phineas Gage.
Detto ciò, il primo tra gli obiettivi del presente lavoro è quello di entrare nel merito di questo nostro lato emotivo, da Goleman definito “cervello sociale”: spiegare da quali strutture sia supportato, in che modo operi e quindi mettere in luce quali disfunzioni di comportamento possano derivare da eventuali lesioni. Si cercherà anche di esporre quale sia il suo rapporto con le nostre funzioni logiche e come di fatto cooperi con esse per creare un’intelligenza che non sia solo razionale ma Sociale. Inoltre, tra i vari aspetti presi in esame, sarà posta particolare attenzione ai neuroni specchio poiché paiono essere il fondamentale punto di partenza dell’intelligenza sociale.
In secondo luogo si darà spazio alla presentazione di una nuova metodologia terapeutica, chiamata Soliloquio Mediato, che pare stia dando buoni frutti nel curare persone affette da carenze comportamentali e linguistiche. Il motivo di tale interesse è dovuto al fatto che essa basa la sua efficacia sul principio di neuroplasticità cerebrale e sull’azione imitativa dei neuroni specchio.
1. IL CERVELLO SOCIALE
Volendo dare una definizione telegrafica, il cervello sociale è “programmato per connettersi”; più estesamente, esso è un insieme di percorsi neurali che si attivano quando le persone entrano in relazione le une con le altre. Questa descrizione potrebbe però dare adito a fraintendimenti, per questo è bene tenere a mente che non esiste una corrispondenza univoca tra uno specifico sostrato cerebrale e una specifica funzione; al contrario, per il principio naturale del risparmio di energia, spesso i medesimi circuiti possono sostenere attività di diversa natura; quindi, nonostante sia vero che l’area emotiva sia propria di certe zone del cervello, l’elemento discriminante rimane il contesto. “Cervello sociale”, dunque, è più che altro una comodità lessicale che definisce una serie di circuiti interconnessi.
La particolarità di questo sistema biologico è che è l’unico in grado di influenzare lo stato d’animo delle persone con cui viene a contatto e di farsi influenzare a sua volta: esso intuisce, percepisce e gestisce in maniera istantanea e transitiva ogni segnale emotivo trasmessoci dal nostro mondo di relazioni; non avessimo il cervello sociale saremmo poco più che monadi. Inoltre, fondamentale è il fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, esperienze ripetute e/o prolungate non hanno un’influenza limitata al lasso di tempo in cui un’emozione viene provata, ma a lungo andare causano cambiamenti resistenti – seppur modificabili – nella struttura cerebrale, come se fossero le relazioni della nostra vita a “scolpire” i nostri percorsi neurologici.
Infine, è importante precisare che la miriade di informazioni gestite da questi circuiti viaggia lungo la Via Bassa, ovvero quell’insieme di percorsi mentali sostenuti dalle aree più primitive del cervello; esse lavorano ad un livello precedente la coscienza, tanto rapidamente da far sì che la Via Alta – costituita invece dalla più evoluta corteccia cerebrale – possa solo limitarsi ad aggiustare e dirigere quello che il nostro istinto ha già scatenato in noi. Date queste caratteristiche, la prima ha un’efficienza straordinaria che però va a scapito dell’accuratezza del giudizio, mentre la seconda pur più lenta è maggiormente precisa.
Per usare un esempio classico ma esplicativo, quando siamo al cinema i recettori emotivi della via bassa fanno sì che noi percepiamo visceralmente ciò che vediamo sullo schermo, quasi fossimo noi a provarlo, ma allo stesso tempo siamo consapevoli che nulla è reale e quindi non reagiamo. Questa presa di coscienza avviene solo grazie all’intervento della via alta che ci fa distinguere tra finzione e realtà. In sostanza, percezione emotiva + razionalità = intelligenza sociale.
L’intelligenza sociale
Riprendendo un utile schema proposto da Goleman, possiamo dire che per avere l’intelligenza sociale debbano darsi due requisiti: la consapevolezza sociale e l’abilità sociale:
Importante è capire che questi due insiemi di abilità non sono i compiti rispettivamente della via bassa e della via alta né sono graniticamente separati a livello temporale; viceversa in ciascuno dei due agiscono sia il cervello sociale sia la razionalità con l’unica differenza che il primo insieme serve ad innescare il rapporto di relazione e il secondo a portarlo avanti positivamente; tuttavia non bisogna dimenticare che entrambi sono necessari per tutta la durata dello scambio.
Ciascun punto finora elencato meriterebbe un’ampia trattazione, ciò nonostante ci si concentrerà solo su ciò che è funzionale all’argomento ed essendo rilevante la questione dei neuroni specchio, l’attenzione sarà focalizzata sull’empatia primaria e sulla sincronia. Queste due funzioni, che sono quelle che ci consentono di aprici al mondo, sembrano infatti essere sostenute da questa classe di neuroni.
Essi così diventano la nostra finestra di significato su ciò che viviamo e questo è testimoniato dal fatto che eventuali insufficienze nella loro attività possono causare non poche complicazioni nella capacità di interpretare degli eventi. Tali carenze possono essere causate sia da danni neurologici sia da un’errata educazione; infatti, per quanto possa apparire strano, non basta che i neuroni specchio “ci siano”, ma devono essere anche istruiti. Se questo non avviene, il disturbo che ne consegue è la dissemia, ossia l’incapacità di leggere e di interpretare gli indizi non verbali che presiedono alle interazioni riuscite (sincronia). Se invece il danno è neurologico, probabilmente ci si troverà davanti alla sindrome di Asperger o all’autismo. Un elemento singolare ma significativo è il fatto che mentre i neonati normali mostrano un’attività nei neuroni dell’empatia quando guardano una persona negli occhi, quelli autistici non lo fanno; anche da adulti essi evitano di ricambiare uno sguardo perché sembra che provochi loro una forte ansia, preferendo invece concentrarsi sulla bocca che è emotivamente meno significativa.
Potrebbe esserci d’altra parte una motivazione scientifica a questo specifico comportamento; e sarebbe che gli occhi occupano una posizione particolarmente strategica per la trasmissione delle informazioni emotive. Essi infatti contengono proiezioni nervose che portano direttamente a una struttura cerebrale chiave per quanto riguarda l’empatia, la corteccia orbitofrontale (OFC): essa è il punto di congiunzione fra la parte più alta dei centri emotivi e la parte più bassa del cervello pensante. L’OFC mette in collegamento diretto tre grandi regioni del cervello: la corteccia (o cervello pensante), l’amigdala (che scatena molte delle reazioni emotive) e la radice del cervello (da cui nascono le reazioni automatiche). «Questo stretto legame suggerisce un collegamento rapido ed efficace che facilita la coordinazione istantanea di pensiero, sentimento e azione. […] Il legame tra regione corticale superiore e subcorticale inferiore del cervello rende l’OFC uno snodo cruciale tra alto e basso, un epicentro in cui dare senso al mondo sociale che ci circonda. […Esso] compie una valutazione sociale istantanea che ci dice cosa percepiamo con la persona con cui siamo, cosa lei sente nei nostri confronti e come agire inseguito in base alle sue reazioni»[1].
È pur vero, però, che questo meccanismo automatico, come anticipato prima, deve essere anche educato. Ciò avviene sin dalla nascita grazie ad una connessione emotiva istintiva chiamata protoconversazione: il dialogo non verbale tra madre e neonato, la più evidente dimostrazione che l’emotività primaria, la sincronia e la sintonia avvengono al di là di ogni volontario intento concettuale.
La protoconversazione per il bambino è un vero e proprio addestramento per imparare come rapportarsi agli altri: il linguaggio della mamma è una cantilena fatta di variazioni di tono, accompagnata dalle espressioni del viso e dai gesti delle mani che il bambino tende ad imitare. Il tutto avviene brevemente e termina quando entrambi riescono a raggiungere il medesimo sentimento di serenità. «I sentimenti dunque sono l’argomento fondamentale delle protoconversazioni ed essi saranno anche i pilastri della comunicazione adulta: il dialogo silenzioso sui sentimenti è il substrato su cui si basano tutti gli incontri nonché lo scopo implicito di ogni interazione»[2].
I neuroni specchio
Nella protoconversazione i neuroni specchio sembrano giocare un ruolo fondamentale. Oggi sappiamo infatti che la loro caratteristica principale è quella di riflettere nel nostro cervello le azioni che vediamo fare agli altri e di spingerci a mimarle. Per questo motivo hanno un ruolo cruciale nelle modalità di apprendimento dei bambini: grazie ad essi i neonati imitano istintivamente quello che la madre gli mostra.
Fu Giacomo Rizzoletti, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma, a scoprire quasi per caso nel 1992, durante uno studio sulle scimmie, l’esistenza dei neuroni specchio. Con il suo team si accorse dell’esistenza di un gruppo di neuroni che si attivavano sia quando la scimmia prendeva un frutto, sia quando rimaneva immobile e ad afferrare il frutto era un’altra persona. Ma la cosa sorprendente fu che durante gli studi, poi estesi anche all’uomo, grazie alla fMRI si vide che ciò che reagiva non erano solo le aree visive, ma anche i suoi neuroni motori: era come se l’animale riproducesse la medesima azione che vedeva.
È quindi per questo motivo che i neuroni specchio ci permettono di captare le menti altrui e ciò avviene non attraverso il ragionamento, ma attraverso la simulazione diretta: si verifica in noi quella che possiamo definire una Risonanza Empatica. La nostra mente è co-generata grazie a questo circuito bi-personale che viaggia attraverso la via bassa.
Il cervello umano d’altra parte ospita moltissimi sistemi di neuroni specchio preposti non solo a imitare le azioni, ma anche a decifrare le intenzioni, cogliere le implicazioni sociali delle azioni di una certa persona e captarne le emozioni. Si può dire che lo stato emotivo condiviso prepara l’area motoria del cervello all’azione: vedere ci predispone a fare. È per questo che i neuroni specchio giocano un ruolo fondamentale nei nostri processi decisionali: senza di essi ci verrebbero a mancare gli elementi stessi su cui ragionare.
La neuroplasticità
Per concludere questa prima parte, sappiamo che il cervello genera più materiale di quanto sia necessario per assumere la sua forma definitiva. Nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, esso perde selettivamente circa la metà dei neuroni in eccesso, conservando solo quelli in attività; esso plasma così la materia grigia a seconda delle esperienze e delle relazioni che dirigono i contatti dei neuroni. Oltretutto, non è vero che il cervello dopo la nascita smette di produrre nuove cellule; sappiamo infatti che cervello e midollo spinale contengono cellule embrionali che si trasformano in nuovi neuroni al ritmo di migliaia al giorno. La creazione di nuovi neuroni raggiunge il culmine durante l’infanzia, ma continua fino a tarda età. Nel corso 5-6 mesi le esperienze vissute indirizzano la cellula appena nata verso determinate altre e più spesso si ripete un’esperienza, più forte diventerà l’abitudine e più stretta la connessione neurale.
La neuro plasticità, in sostanza, è una caratteristica che non si perde mai del tutto; ed è su questa consapevolezza che si basa l’azione terapeutica del metodo che si andrà ad esporre.
2. IL METODO DEL SOLILOQUIO MEDIATO
Detto questo, l’idea dell’MSL è stata concepita in seguito all’osservazione di come il bambino apprende le regole di comportamento e linguaggio prima con la protoconversazione e in seguito con il parlare a se stesso; il soliloquio in questo caso è il campo dove egli prova a mettere in pratica i modelli che ha interiorizzato. È per altro un aspetto naturale dello sviluppo umano che anche gli adulti, oltre che i bambini, “parlino a se stessi” e a oggetti inanimati mentre considerano, riformulano e rivivono le loro esperienze nell’immediatezza, nel passato e nel possibile futuro.
«Nel 1963 e ‘64 consideravamo la dinamica del MSL una modellizzazione sensoriale-recettiva diretta che si affidava all’esposizione e alla ripetizione. Eppure in quel periodo c’erano un gran numero di problemi legati al nostro tentativo di spiegare in modo efficace questo fenomeno di imitazione del linguaggio che pensavamo sensibile alla mediazione ma di cui non riuscivamo a comprendere pienamente le dinamiche. Tuttavia sulla base dell’esperienza clinica ed empirica ci rendevamo conto dell’importanza del fenomeno. Lo vedevamo particolarmente legato all’arricchimento del vocabolario, alla capacità di descrivere comportamenti, all’enunciazione di azioni e alla descrizione di processi ideativi [come] sentimenti e concetti. Ora siamo in grado di spiegare meglio questo fenomeno facendo riferimento ai recenti sviluppi… della neurofisiologia, all’esistenza dei neuroni specchio [e al loro ruolo nella] neuroplasticità. Adesso è possibile proporre il MSL e sottolineare la sua importanza nello sviluppo del comportamento comunicativo utilizzando i processi neurofisiologici e utilizzando i nuovi strumenti messi a punto dalla ricerca non invasiva (fMRI,CAT,PET,TMS)»[3].
Più specificatamente, dunque, il MSL è un processo di costruzione e arricchimento che contribuisce allo sviluppo cognitivo e sociale. Può essere rivolto a bambini sani per incentivare la loro crescita come a bambini e adulti con deficit linguistici, cognitivi e sociali.
La mediazione in questione, quindi, non si sviluppa solo a livello verbale, ma anche attraverso gestualità, espressione e toni di voce, come una sorta di imitazione sistematica dell’originale linguaggio materno. Si fa leva infatti sulla consapevolezza che l’intenzione delle azioni possa essere captata e processata dai neuroni specchio che la riproducono in chi ascolta e guarda; questo fa sì che la mediazione venga estesa anche all’empatia e alla comprensione emotiva e perché ciò avvenga più facilmente, l’obiettivo funzionale del MSL è proprio quello di aiutare la capacità di focalizzazione e interpretazione di coloro che sono sottoposti al metodo.
Elementi tecnici
Passando ad un livello più tecnico, l’esperienza di apprendimento mediato avviene quando un individuo interviene intenzionalmente e con un obiettivo nei confronti di un altro individuo, stabilendo una relazione tra mediatore e mediato. Questo serve a trasformare e gestire gli stimoli che vengono forniti a seconda dei bisogni della persona che apprende, degli scopi che si vogliono ottenere e della situazione.
Il soliloquio mediato, quindi, si basa sull’intenzione di esporre il bambino o chi per esso ad un ambiente verbalmente, socialmente ed emotivamente ricco che non esiga però una risposta, poiché rischierebbe di essere controproducente e di inibirne il naturale sviluppo. A questo scopo, esiste una serie di punti da tener ben presenti se si vuole attuare con successo la mediazione:
Enunciazione: Il soliloquio enuncia un’azione che viene svolta davanti al mediato e che viene eseguita in modo tale da attirare la sua attenzione pur non costringendolo a rispondere. L’enunciazione dell’atto è fatta ad alta voce, con un ritmo e con gli abbellimenti possibili che accompagnino l’atto; viene ripetuta sia nel momento in cui viene eseguita l’azione sia successivamente quando si creano le opportunità per ripeterla.
Ritmo: il ritmo dell’azione, unitamente alle parole e agli atti motori, legano la struttura linguistica all’azione fisica in modo significativo e interessante. Si deve parlare con un’inflessione e una prosodia che crei una specie di canzoncina che accompagni l’azionee che abbia il potenziale per risuonare nella mente del bambino. Tutto ciò dovrebbe inoltre essere accompagnato da gesti esagerati, espressioni del viso e cambiamento del volume e della’ampiezza vocale.
Sostituzione: l’atto può essere accompagnato o sostituito dal suono che l’atto potrebbe creare. Per esempio l’atto di strappare un foglio può essere accompagnato da un suono marcato della carta che si rompe. Si può poi produrre il suono senza l’atto stesso, usando semplicemente la gestualità. I suoni, la motricità grossolana e l’esperienza tattile allargano il repertorio del bambino e lo allontanano dalla dipendenza della visualizzazione.
Ripetizione: il fatto di ripetere un atto molte volte e con modalità diverse, spiegando verbalmente e differenziando perché, cosa, e come, è un aspetto importante della mediazione. La qualità della ripetizione può anche essere accentuata dal fatto di enunciare atti che saranno eseguiti successivamente.
Da quanto detto, si può quindi concludere che l’obiettivo primario del soliloquio mediato è lo sviluppo della consapevolezza empatica e sociale. Il far leva anche sull’aspetto linguistico è dovuto al fatto che esso è un elemento critico dell’apprendimento poiché porta a comprendere gli altri insieme ai loro obiettivi e ai loro motivi. Il ruolo del MSL è quello di rendere intenzionale l’interazione verbale, dapprima attraverso l’offerta di un modello e successivamente attraverso l’imitazione e l’elaborazione: riconoscendo le intenzioni del mediatore, il mediato diventa consapevole del come e del perché qualcuno, nella sua esperienza diretta, agisca nel modo in cui agisce. Ancor più, con tutto ciò diventa più consapevole dello stimolo che lo colpisce. La mediazione trasforma quindi questi stimoli creando caratteristiche specifiche e stimolando la consapevolezza e la coscienza dei motivi per cui il mediatore è esplicito e focalizzato e esprime la propria intenzionalità con le parole e con le azioni.
3. BIBLIOGRAFIA
[1] Daniel Goleman, “Intelligenza sociale”, Bur, Milano 2008, p. 71.
[2] Ivi, p.42.
[3] Reuven Feuerstein, Luis H.Falik with ICELP, “Mediated soliloquy: theory, concept and a guide to pratical applications”, ICELP monograph series, Experimental version, 2008, p. 13; (traduzione mia).